La procedura di “liquidazione dei beni”, ex art. 14 ter legge n. 3/2012, rispecchia, grosso modo, le modalità di una liquidazione fallimentare in quanto prevede la formazione di uno stato passivo, la fase di esecuzione della liquidazione del patrimonio, lo spossessamento del debitore, il divieto di azioni individuali dei creditori (cfr. Tribunale di Busto Arsizio, 24/1/2021). La procedura di liquidazione ex art. 14 ter, ha la finalità principale di consentire al sovraindebitato di accedere al procedimento di esdebitazione (art. 14, terdecies) e, pertanto, essa dovrebbe prescindere da qualsiasi “proposta” che venga indicata dal sovraindebitato il quale, in realtà, non è tenuto ad indicare ipotesi di riparto o escludere dalla procedura alcun bene utilmente liquidabile. Nella formulazione della Legge n. 3/2012 si nota, infatti, che per l’accordo con i creditori e per il piano del consumatore, viene utilizzato il termine “può proporre”, mentre nella procedura liquidatoria è presente il termine “può chiedere” la liquidazione di “tutti i suoi beni”.
In teoria andrebbe, pertanto, esclusa la facoltà del debitore di formulare una “proposta” sul quantum mensile dello stipendio o redditi da destinare ai creditori, potendo egli (in conformità al tenore letterale della normativa citata) fornire al giudice solo indicazioni sul fabbisogno mensile per il proprio mantenimento e della propria famiglia, determinando “a ritroso” quanto sarà sottratto dalla liquidazione.
Tuttavia si sono rinvenute parecchie decisioni di merito che accolgono le indicazioni del debitore con riferimento all’entità delle risorse da mettere a disposizione della procedura di liquidazione (V. ad es. Trib. di Milano, 19/1/2021; Trib. di Milano, 28/2/2021; Trib. di Milano, 31/3/2021; Trib. di Reggio Emilia, 5/2/2021).
Autore: Avv. Simonetta Carra